venerdì, giugno 26, 2009

La ruota della sofferenza


Forse sto avvicinandomi alla fine degli Anarcobuddisti. Prova e riprova non mi aspetto niente, il vero percorso passa solo dallo scrivere. Lancio lì un estratto, particolarmente riflessivo:

T: Avrei voluto, caro Giò, continuare il cammino con te; nessuna rivoluzione, nulla di drammatico, ma una decisa epurazione di quei pochi individui che pensano di tenere il mondo sotto ai loro piedi. Questo per il bene nostro e dei più deboli. Non sarebbe un atto di violenza, ma un atto di compassione. Noi due, assieme, potremmo fare grandi cose. E c’è un altro fattore da considerare, che non mi stancherò mai di ripetere: noi siamo gli unici che possono farlo. E’ brutto da sentire forse, ma necessario. C’è una discreta probabilità che se io e te non ci diamo una mossa questi stronzi prima o poi veramente decidano di decimare l’umanità. Se poi la moltiplichiamo per la probabilità che io e te siamo gli unici che sanno cosa attende la miserevole razza a cui apparteniamo e che non sono complici del piano tremendo, e magari decidiamo di starcene con le mani in mano a guardare, anche ad osservare con attenzione, cosa che tu sembri proporre (probabilità, anzi moltiplicazione anche questa di due fattori di probabilità che si avvicinano pericolosamente a uno e quindi portano il secondo fattore decisamente vicino all’unità), otteniamo la probabilità che in un prossimo futuro (e per prossimo mi sento di parlare dei prossimi cinque o dieci anni) si venga a verificare una reale filtrazione della specie uomo onde conservare in vita solo quegli individui che soddisfano un certo numero di criteri, questi ovviamente definiti da chi sta da lungo tempo congegnando tutto il discorso epurazione. Forse il termine più adatto è macellazione a scopo terapeutico.
Quindi perché non alzarci ed imbracciare le nostre modeste armi, vecchio nonché unico amico, e cercare di creare perlopiù quanti più problemi possibile a chi non ha peraltro esitato a lasciarci putrefare da vivi in delle gabbie ipertecnologiche con dei cavi infilati fin nello sfintere, e monitorandoci anche quando ci lasciavamo andare in una buona e sana masturbazione (ovviamente onirica, perché la sensazione che ho provato toccando per la prima volta realmente il mio glande è stata violenta, ma al tempo stesso morbida, come un ammaraggio su di un’acqua spumosa, mossa e gelida allo stesso tempo. Lo scoprire una valle piena di sole e di verde ma al tempo stesso carica di quel fango fertile e vivo, mamma mia quanto vivo, alle volte basta dirigere lo sguardo un briciolo sotto la superficie.
La compassione di cui sempre mi parli, forse la compassione questa volta è ora di dimostrarla verso chi ne ha realmente bisogno.
Altro che le stronzate buddiste non interventiste di cui comunque, vorrei che te lo tenessi a mente sempre, ci hanno infarcito la mente loro.

G: Separare, separare. Non fai altro che separare, e pure io ho agito come te per gran parte della mia vita. I buoni dai cattivi, noi da loro, la gente comune da noi. La vita dalla morte, la Fratellanza dalle altre sette, i principi morali dai principi etici. Noi siamo lo stesso prodotto e lo stesso principio generatore. La ruota che gira, proprio quella ruota, siamo noi quanto loro. Non si possono separare i raggi dalla ruota e la ruota dai raggi. I raggi stessi non esistono se non come parte della ruota. Facciamo parte della stessa catena alimentare di odio, dobbiamo rendercene conto. Bisogna comprendere che se proprio vogliamo avere la parvenza di tirarcene fuori, dire io non c’entro, non voglio entrarci, dobbiamo in un qualche modo essere l’ingranaggio non funzionante, il sottosistema de sistema che riceve input ma non fornisce output. Ed allo stesso tempo realizzare che continueremo sempre a girare, perché dentro con noi ci sono i nostri fratelli, ed i nostri fratelli siamo noi. I nostri carnefici siamo noi, e quelli che sono state invece le nostre vittime non siamo altro che noi. E’ una questione vitale, una questione di allontanare il punto di vista fino non ad uscire dal meccanismo ma perlomeno a comprenderlo, abbracciarlo in toto, perché forse amare ciò che dovremmo distruggere è il primo modo di violare quella logica che lo tiene in moto, è il primo vero atto rivoluzionario.
Unirci fino a sentire il meccanismo parte integrante delle nostre budella, fino a sentire la sofferenza di tutti gli uomini come la nostra bile, l’intenzione malvagia di esseri contro altri esseri come qualcosa che non dobbiamo sbrigarci a defecare, perché se e come si verranno a creare le condizioni contingenti allora succederà –la defecazione-, e noi saremo lì, parte che defeca e parte defecata, perché la vera compassione abbraccia tutto, senza distinzione, e perché non ci possiamo illudere di separare senza generare odio.