mercoledì, ottobre 26, 2005

Cinque stelle - 1. Il ritorno di Mappo (2)


Mi vennero in mente le onde del mare, infaticabili, i porticcioli delle Cinque Terre, il colore del tramonto sul soffitto increspato dell’acqua. L’odore della salsedine.

-Mah.. scusa se mi permetto, e cosa hai fatto per otto anni in India?-
-Non molto a dire la verità. Ho girato, ho studiato nei monasteri. Ho preso tempo per riflettere-
-E come hai fatto a sopravvivere, cioè sai otto anni sono lunghi, non hai dovuto lavorare un po’?-
-Basta poco, laggiù. Non ti immagini quanto poco basti per sopravvivere. Non voglio assolutamente criticare nulla, ma con il prezzo di un giorno in un hotel a cinque stelle sopravvivono dieci monaci per un mese. E non sopravvivono, vivono..-

Gli occhi della bionda trasudavano stupore. Avevo scosso le fondamenta del suo pensiero. Era seduta accanto ad un altro mondo, e non le pareva nemmeno troppo lontano.
-Pensi di tornarci? Di tornare in India?-
Era loquace. Bella e loquace. Mancava poco all’atterraggio. Era un tardo pomeriggio pieno di sole e di voglia di vivere.
-No, non penso. Dio, non posso saperlo, ora. Ma tenterò di stare in Italia. Non so cosa mi attenda. Devo incontrare alcuni amici, poi vedrò-

L’annuncio tuonò di allacciare le cinture. La scollatura le cinse il seno, che cercò la libertà in ogni direzione possibile.

Mappo stava tornando in Italia.

-Tu dove vivi in Italia?- Avvicino le due sfere della conversazione.

Forse la gente ignora quanto uno sguardo sia uno scambio intenso tra due persone. Guardare negli occhi ti può buttare nei recessi più intimi di una persona. Ti può catapultare laddove nascono i pensieri e le parole. Ti possono far capire le sensazioni che prova chi ti osserva. Se mente. Se ha paura di te. Se ti ama. Se prova fastidio. Se ha voglia di andare via. Se sta pensando ad altro. Non sono lo specchio dell’anima. Sono la radice del nostro schema interpretativo verso il mondo. La nostra mitragliatrice. Il nostro giubbotto antiproiettile.

-Io? Vivo a Milano? Città carissima, caos, ma non mi ci trovo male. Ormai mi ci sono abituata. Troverai molte cose cambiate in Italia, dopo otto anni. La situazione economica non è rosea, ci sono molti problemi in più. Guarda, un vero casino-
-Dai, noi italiani abbiamo sempre avuto il vizio di lamentarci-
- E’ vero, ma la mia impressione è che ora veramente qualcosa sia cambiato. La povertà esiste, ed è sempre più davanti ai nostri occhi. Anche quella nascosta, quella che ci fa scegliere solo i prodotti più economici al supermercato-
-Avrò il tempo di vedere tutto di persona, spero-
Lo sguardo di Ilaria era perso nel vuoto, tra il suo mondo interiore e le mani di Mappo, che gesticolavano con calma. Gli occhi sgranati coprivano i metri davanti a lei, saltavano giù dall’aereo e tornavano in India, quell’India che lei non aveva potuto visitare, persa in un mondo parallelo di hotel a cinque stelle.
-Ma ti piace il tuo lavoro, Ilaria? Non ti stanca?-
-Mi piace, mi piace molto. Posso viaggiare, avere un ruolo di responsabilità, che comunque mi sono sudata. Poi sì, in certi ambienti in effetti c’è troppa formalità, e questo mi stufa. Non penso però di essere cambiata, sono sempre io, diretta semplice capisci? Certo a te suona strano, non mi hai mai conosciuta prima, però ne sono convinta. Solo bisogna adattarsi per lavorare, cambiare almeno la facciata di noi stessi. Non si può cambiare il resto, quindi bisogna fingere di cambiare noi..-
-Già, non si può cambiare il resto…- Mappo sorrise con disillusione, con un occhio fuori dal finestrino.
-Poi adesso, si sta spostando tutto quanto verso l’Oriente, tocca viaggiare per lavorare. Là la manodopera costa meno, tutto costa meno-
-Ma non ti fa pensare questo? Ho visto ragazzini lavorare in scantinati sporchi di Delhi, convinti che la vita sia quella e solo quella, con gli occhi intasati di sofferenza e di stanchezza. Per una miseria..-
-Lo so lo so è uno schifo.. Ma è un qualcosa di più grande di noi, che cosa si può fare. Anche noi, per quanto fortunati, siamo ingranaggi-

L’aereo atterrò con calma. Le tette della bionda oscillarono come budini. Lei per un attimo pensò a bambini vestiti di stracci che lavoravano sporchi in una stanzaccia di Delhi. Si scambiarono le rispettive email.
Mappo vedeva il congegno dinanzi ai suoi occhi, con i pezzi che schiacciavano e quelli che venivano schiacciati. Una regola fondamentale riguardo a due materiali che sfregano, o due ingranaggi che scorrono uno sull’altro è che non devono essere fatti dello stesso materiale. Uno dei due deve essere più debole. E se ne faranno tanti pezzi di ricambio.

Pensò ad una coda. Non la coda di un animale, ma una luna coda d’auto. Non si forma perché uno è particolarmente lento. Quando era piccino ed era in macchina con i suoi genitori nel bel mezzo di una coda finiva puntualmente per arrabbiarsi con un fantomatico signore grasso e pidocchioso e con gli occhiali, che rallentava tutti gli altri.In realtà però tutti contribuiscono a formare una coda, chi più chi meno. Non c’è nessuno da accusare in particolare, ma il problema c’è. Sussiste.

venerdì, ottobre 14, 2005

Comunicazione di servizio

"Cinque stelle" non verrà pubblicato ad estratti, ma completamente..
se mai arriverò alla fine
p.

Cinque stelle - Il ritorno di Mappo (1)


“Non c’è strada che abbiamo già percorso.
Non c’è strada che percorreremo.”

Mappo non si sarebbe mai aspettato di giungere a provare nostalgia per l’Italia. Più vi si avvicinava, più sussultava d’emozione. Si sarebbe buttato in quelle fantastiche acque di casa, direttamente dall’oblò, sennonché già immaginava che tutto sarebbe cambiato appena avesse messo l’alluce destro sul suolo tricolore.
Aveva voglia di vomitare. La barba lunga. I capelli lunghi e sporchi. In India poteva essere un qualsiasi poveraccio hippy ma non nella finta ricca Italia.
La biondona lo osservava.
L’hostess brunetta con le tette a punta gli sorrise e gli offrì un succo d’arancia.

Il termine Mappo in cinese veniva usato nel Medioevo in Oriente per indicare un’epoca prossima di degenerazione spirituale che sarebbe seguita al periodo di massima fioritura del buddismo.
In Italiano stava solamente ad indicare la degenerazione mentale dei suoi genitori davanti all’impiegato dell’anagrafe.

Aveva voglia di una sigaretta. Tra la biondona e la hostess si sentiva al centro di un harem immaginario. Dopo otto anni a girare per monasteri e baraccopoli era il meglio che gli potesse capitare ora. Respirò. L’aria era elettrica.

-Signore mi scusi, ancora del succo d’arancia?-
-Mmm.. ah beh, sì grazie-
-Di nulla-
Bel culo.
-Where do you come from?-
-Delhi, Delhi. But I’m Italian-
-Ah, sei italiana- Dopo aver aperto bocca con la hostess si sentiva di nuovo di avere rispolverato l’ugola e trovato la voce per agganciare la biondona in tailleur,
-Sì, anche tu? Non l’avrei detto-
-Veramente?- (E per chi cavolo mi hai preso?)
-Mah, a vederti così mi saresti sembrato un indiano, una specie di yogi-
-Ma dai.. a dire la verità mi sarebbe anche piaciuto diventarlo, diciamo un qualcosa tipo un monaco, con un’accezione un po’ generale, ma sono solo un viaggiatore-
-Sì, hai uno sguardo molto introspettivo, non tipico degli italiani. Quindi hai fatto un gran bel viaggio, fortunato tu..-
-Sì, chiamiamola vacanza, meglio rilassamento forse, ricerca spirituale, sai ci sono tanti nomi. Comunque è un piacere conoscerti, io mi chiamo Mappo-
-Sì scusa, io invece sono Ilaria. Beato te, una vacanza, io ci sono stata ben tre mesi, in India, ma per lavoro.. Sai, con questa maledetta espansione del mercato verso est, India, Cina, tocca muoversi parecchio-
Mappo guardò nel vuoto, forse a richiamare in sé vecchie immagini, oriente, economia, Gino. L’Italia si avvicinava, sotto le nuvole. Il paese dell’arte, della pizza e del nepotismo.
-Ma, e tu? Quanto sei stato in India? Cosa hai visitato?-
-Sai, a dire il vero chiamarla vacanza non è proprio corretto. E’ stata più una fuga, direi.. Va beh, otto anni, otto anni sono stato in giro-
-Otto anni! Pazzesco! Quindi non sai più nulla dell’Italia! Praticamente sei indiano!-
-Guarda ho pensato di esserlo diventato, ma come vedi ora sto tornando a casa. In Italia. Ma dai, piuttosto, dimmi di te. Piaciuta l’India ho hai solo lavorato?-
-Eh, purtroppo ho visto solo Delhi, tra uffici, grattacieli ed alberghi cinque stelle. Dodici ore di lavoro al giorno, conoscendo solo colleghi indiani o americani. Un po’ di yoga comunque l’ho imparato. C’era una bella palestra nell’hotel in cui stavo-

mercoledì, ottobre 05, 2005

Da la sera prima (dal capitolo 2 - Al bowling)


Ho sempre provato una certa simpatia per il Ninio, quel ragazzetto biondo più giovane di me, smarrito tra le strade del disagio giovanile o come cavolo lo si voglia chiamare. Sì, lui sarebbe l’emblema, il testimonial perfetto di una ideale pubblicità progresso sui problemi dei giovani. Da piccoli giocavamo assieme a calcetto nel campo dell’oratorio, e lui era proprio bravino. Segnava sempre, ed io gli porgevo sorridente degli assist da favola. Gli avevo pure lavato la schiena dal sangue e dalla ghiaia tatuata sottopelle, un giorno che Gianni la Belva gli aveva fatto un fallo da espulsione e da reclusione nel peggiore dei manicomi criminali dell’Honduras, lasciandolo tumefatto e sanguinante sul dissestato terreno del campetto dell’oratorio di Piusa.
Poi, quando ha cominciato a sbandare, io non gli ho mai negato un sorriso od una birra, con la speranza che un giorno si sarebbe potuto mettere in riga, magari grazie al mio aiuto.
Ma ora ero incazzato con lui. Io non sbando mai.

Andai a casa sua, o perlomeno alla villetta dei suoi genitori. Mi aprì la Ninia, sua sorella, la tipa più eccentrica del paese, più grande di lui di diversi anni, rasata a zero, che insegna training autogeno in mezza Italia e fuma tabacco nazionale “forte”. Quand’è a casa aiuta i genitori a gestire il loro allevamento di criceti da compagnia, e sostiene di conoscere il Buddha di persona.
Le chiesi dove avrei potuto trovare il suo fratellino. Incrociò gli occhi, consultando qualche oscuro oracolo, e rispose –Non so, mi dispiace, ma se vuoi ti do il suo numero di telefono-
Trovare al telefono il Ninio fu come sparare a caso in un lago cercando di centrare un pesce. Infatti non ce la feci. Ma come in tutte le cose, prima bisogna avere la volontà, poi il destino si contorce in modo da presentarti al volo l’occasione che cerchi.