lunedì, marzo 27, 2006

Intervista a Rocco, il mio cane. Argomento libero, in un luminoso pomeriggio di marzo. Parte 1


P- Bene, ho talmente tanto da chiederti che non saprei da dove cominciare.. Partiamo dal semplice: sei soddisfatto della tua vita?
R-Certamente. Mi piace, mi diverto, vivo con delle persone che adoro, e per quanto ogni tanto ci siano dei problemi, di cui molte volte mi sfugge la natura, sono entusiasta della mia vita, sì.

P- Allora cominciamo a spingerci verso le domande scomode: non ti manca la libertà, quella vera, che va oltre il guinzaglio, oltre la legge del bastone e della carota?
R- Questa è bella.. La verità è che non saprei risponderti, non saprei risponderti perché in realtà non so cosa sia questa libertà. Sono un cane, ed i cani hanno sempre vissuto con gli uomini. Faccio parte di una specie, specie la chiamate voi, e non solo anche di una razza creata dall’uomo per alcune sue esigenze, come cacciare, una razza inoltre sfruttata con tutta la malignità di cui l’uomo è capace, anche se con uomo ovviamente non mi riferisco a tutti gli uomini. Se mi chiedi se mi piacerebbe la libertà, ti dico sì, adoro correre libero dal guinzaglio, seguire gli odori, ed adoro quando voi mi lasciate libero di farlo. Ma non so se potrei vivere così. Libertà significa solitudine, almeno per me significa quello, solitudine dall’uomo che, volente o nolente, ha la responsabilità di avere reso il cane il suo migliore amico, e di averlo sfamato, in cambio di lavoro o anche solo di amore. Vivere con l’uomo, anche a scapito di un briciolo di libertà, è il nostro destino, la nostra strada, ed è tempo anche che l’uomo si prenda le sue responsabilità ed usi tutto il rispetto che ci è dovuto, non in quanto cani ma in quanto esseri che come lui vivono sotto il suo stesso cielo e calpestando la sua stessa terra, e non solo, esseri che sono legati a doppio filo con la sua esistenza, dalla notte dei tempi.

P- Ti ringrazio, hai toccato due punti molto importanti, a cui prima o poi sarei voluto arrivare anch’io. Tanto vale anticiparli subito. Per primo, tu sei un beagle, e penso tu sia a conoscenza di tutte le sperimentazioni che vengono effettuate sulla pelle dei beagle, in quanto reputati cani indistruttibili. Il secondo punto, intessuto al primo, è proprio il rispetto scarso che l’uomo ha della natura che lo circonda. Vuoi approfondire questi punti?
R- Sì, e mi aspettavo che me lo chiedessi. In quanto “rappresentante” della natura come la chiamate voi, in quanto cane, in quanto beagle. Innanzitutto non mi piace di quando si parla dell’uomo e del suo rapporto con la natura. Non esiste l’uomo e tutto ciò che è artificiale da una parte, la natura e tutto ciò che viene chiamato naturale dall’altra. L’uomo, che lo voglia o no, è parte della natura stessa. E tutto ciò che da lui viene è pure parte della natura stessa. La contrapposizione uomo-natura viene da una concezione che vede la razza umana al centro di tutto, una posizione antropocentrica direste voi. L’uomo è al centro del creato, e la natura è il contorno, l’insalata, ciò che l’uomo ha a disposizione nella sua folle corsa verso chissà dove e mi dispiace ma in questo momento mi viene da pensare solamente verso la distruzione. Senza capire che distruggere la natura è distruggere sé stesso. Ma sto dicendo ovvietà.
La cosa importante è che, secondo me, questa è una concezione da superare, a mio avviso, in quanto è questa idea malsana che porta l’uomo a fare, fare, fare, sfruttare, senza chiedersi nemmeno per un momento verso dove stia andando. In realtà basta così poco: fermarsi, o rallentare; apprezzare il presente, l’amore, verso i suoi simili, verso i cani, verso gli altri animali, verso tutto il resto. L’amore per una montagna, l’amore verso un cane, l’amore perché no, verso una piccola noiosa mosca. Tanto siamo tutti qui, e tutti alla pari, che dir si voglia, perché tutti viviamo un battito d’ali e poi moriamo. Pensa al tempo, a tutto il tempo che è esistito ed esisterà: ai miliardi di anni passati ed ai miliardi di anni che passeranno: forse c’è differenza tra gli ottant’anni di un uomo, i venti di un beagle, la settimana di vita di una farfalla?
Se l’uomo la smettesse di correre, e cominciasse a correre un po’ in un prato verde giocando con il suo cane, non ci sarebbero deforestazioni di sorta, effetto serra –che mi devi spiegare ancora esattamente come avviene-, e nemmeno sperimentazioni selvagge sui beagle.

P- Mi è piaciuto il tuo discorso, si vede che ci metti passione, e penso che in tanti dovrebbero ascoltarlo. Solo non tutto è semplice come appare. Il tuo discorso porta verso il mito del buon selvaggio, e forse, detto da un uomo, sminuisce un po’ le grandi conquiste della mia specie, e qui non parlo solamente di conquiste materiali, come lo stile di vita che l’uomo è stato in grado di acquisire, le invenzioni partorite nel corso dei millenni, ma anche e soprattutto culturali. Quello che rende la mia specie, e qui non vorrei essere frainteso però, così “evoluta” rispetto alle altre, così in grado di analizzare il mondo che gli sta intorno, di classificarlo, di fare congetture riguardo all’inconoscibile. Cosa ne pensi a proposito?
R- Penso che sia un discorso giusto, fatto da un uomo, ma che non smonti in minima parte il discorso fatto da me riguardo al fatto che l’uomo dovrebbe “rallentare” la sua corsa verso lo sfruttamento. Tu mi parli di conquiste materiali, quando mi pare i due terzi della popolazione umana non li abbia a disposizione. Mi parli di conquiste culturali, ma quanti ne hanno accesso? E non è anche una conquista culturale quella di rendersi conto che non si è al centro del mondo, ma che bisogna fermarsi e lavorare per permettere che tutti abbiano accesso almeno minimamente ad una vita più agevole?
Ma non solo, mi parli di queste grandi conquiste culturali ed intellettuali, ma allora perché l’uomo, tanto evoluto, non ha ancora capito nulla del suo cervello? Perché gli basta così poco per cadere in depressione, o per compiere ogni genere di atrocità? Non ti sembra che abbia lavorato un po’ troppo in una direzione sola, ovvero verso l’esterno, verso la conquista di tutto ciò che ha attorno, tralasciando ciò che è interno, ovvero la sua sensibilità, verso la natura e quindi anche i suoi simili, la comprensione di sé stesso, che poi null’altro è che la sua felicità?
E fai attenzione, non stavo dicendo con il discorso precedente che l’uomo dovrebbe ritornare ad essere nulla più che un buon selvaggio, ma solamente fermarsi, guardarsi attorno, rinunciare a qualcosa, gradatamente, per fare sì che un riequilibrio avvenga piano piano, e senza catastrofi come altrimenti avverrà.

P- Ti ringrazio. Molto interessante la tua analisi. Prima di cambiare argomento, siccome la tua idea del riequilibrio e delle piccole rinunce mi dà un appiglio per affrontare un altro punto importante dell’intervista, ti volevo domandare una piccola cosa: cosa ne pensi degli umani che scelgono il vegetarianismo?
R- Mmmm… dunque, vuoi chiedermi se la loro scelta va nella direzione di cui abbiamo parlato prima?

giovedì, marzo 16, 2006

La differenza.


Sapete cosa fa la differenza? Sapete cosa vi butta dal paradiso all’inferno in meno di cinque secondi sola andata? Cosa vi può far capire che quelle che avete pensato fino ad ora sono solo nientepopodimeno che autentiche cazzate? Che l’aumento di stipendio di contratto l’automobile nuova il film che non vi piace una tipa che non ci sta la partita di calcetto persa ingiustamente sono tutto quello che si può definire spazzatura?
Che la paura di essere un fallito un uomo debole incapace di imporsi nervoso che non riesce a calmarsi che ha delle belle idee ma non riesce a seguirle che non riesce ad aumentare il suo sex appeal insomma tutte le paranoie di questo mondo andata e ritorno in realtà sono solo ridicoli viaggi di piacere niente di più, e non solo, anzi esiste un treno che ci può portare a casa è solo questione di accomodarsi ed aspettarlo e non cercare di sprofondare nel baratro quando non arriva anche se ha un ritardo indefinito..

Magari mi risponderete la differenza è svegliarsi la mattina con un mal di stomaco atroce che poi passa ma ritorna e poi passa poi ritorna quindi si scopre che si ha un cancro alla bocca dello stomaco in fase avanzata con poche possibilità ma ne rimane qualcuna basta sottostare a cure allucinanti ed entrare in un vortice disperato allora in quel momento forse si comprende che il treno di ritorno potrebbe non passare più e tutto è sfumato da un momento all’altro e magari siamo pure soli. Troppo deboli per affidarci a delle cure alternative del tipo è tutto nella tua mente oppure bevi la tisana magica della nonna supernonna e tanto impauriti quando si tratta di iniziare una terapia che sappiamo ci devasterà ed il suo esito si conosce a priori solo in termini di probabilità variabili quindi non si conosce.

Bene questo è il pensiero che mi salva.

Perché in realtà io non ho un carcinoma con tanto di metastasi in due o tre organi diversi ed una lista di dottori da cui andare per sentirmi citare diverse proiezioni di percentuali di sopravvivenza ed elenchi di medicine e pacche sulle spalle. Ma sono solo ugualmente. Mi salva il fatto di sapere quello che non ho. E che non vorrei mai avere.

Perché nessuno è perfetto. Solamente qualcuno è più sfortunato.

Questo qualcuno magari è così sfortunato da inforcare la macchina stressato una mattina dopo non aver chiuso occhio per il nervosismo, più sorella gastrite che manda un male lancinante ed il tuo spirito guida che ti dice calmati ed il tuo spirito calmo che ti dice guida. E allora guidi ma proprio non ce la fai a guidare piano, a non mandare affanculo chi non ti dà la precedenza che ti spetta, a non mandare affanculo chi ti manda affanculo dopo che non gli hai dato la precedenza che gli spetta ma mancano dieci minuti poi entri in ritardo a lavoro e non oggi, non oggi che sono pieno di cose da fare. E pensi ho proprio bisogno di andare ad uno di quei gruppi di meditazione collettiva se no non ce la farò mai a calmarmi, e mentre lo pensi la macchina fa i settantacinque all’ora, sei in città ed un vecchio sulle strisce pedonali attraversa proprio lì davanti a te, proprio in quel momento perché se avesse fatto colazione due minuti dopo o non l’avesse fatta o se avesse avuto voglia di farsi una settimana al mare in tranquillità in queste belle giornate di sole o se avesse deciso di andare in pensione qualche anno dopo tu non l’avresti tirato sotto, lasciando sulle strisce bianche un ritratto di sangue ossa ed organi interni e non saresti un maledetto assassino senza scrupoli con una vita da fallito alle spalle.

Magari avresti un bel curriculum di fallimenti ed un bel carnet di aspirazioni che non realizzerai mai ma che devi avere per essere in regola e sentirti anche tu parte costituente ed essenziale di questa meravigliosa maledetta società occidentale dove cosa importa come ti senti tanto ci sono gli psicologi ma quello che importa è quello che fai.
Ciò che diventi e, non dimentichiamocelo mai, quello che hai in mente di diventare, ovvero quello che ti stacca da questo stupendo inutile presente che inizi ad apprezzare quando sono dieci giorni che corri in macchina di cui otto su di un’auto rubata e cominci a pensare che dopo avere perso sette chili ed avere cinquanta grammi di barba in più e dopo avere svalicato almeno quattro volte quattro confini diversi magari non ti prenderanno, magari esiste questa possibilità, anche se tu di colpo sei il male, per quanto tu abbia sempre pagato le tasse. E non parlatemi di attenuanti generiche o stronzate simili. Io non sono un politico.

Quando inizi a conoscere le persone senza pensare se guadagnano più o meno di te, anche perché ora quello che guadagni è quello che tiri su se rivendi hashish ed erba o riesci a rubare a due turisti spensierati. Chiedendo loro scusa, ovviamente,e cercando solo quelli abbastanza ciccioni da sapere che non ti salteranno addosso disarmandoti da quel coltello arrugginito e lasciandoti con la faccia insanguinata per terra.

Ma la questione è proprio questa. Esiste qualcuno così potente da decidere che la mia vita non va bene e devo cambiarla d’improvviso, nonché tentare ogni giorno di finirla lì? Qualcuno decide che sono io quello sfortunato?

Di colpo io sono un assassino e non più un agente immobiliare, di colpo non merito più un aumento ma la galera per aver investito un povero pensionato sulle strisce ed averlo solamente ammazzato. Il sistema decide di punirmi, io so che merito di essere punito, ma proprio non ce la faccio a pensarmi recluso io che dormo con le finestre aperte anche il quindici di gennaio quando ci sono meno cinque gradi di temperatura massima e Dio solo sa quale sia la minima.
Perché non è sufficiente che la mia punizione sia il terrore giornaliero di prendere in mano un volante anche se ora devo farlo per sopravvivere per continuare a scappare e non riuscire a dormire ogni notte senza sognare per almeno due o tre volte l’attimo critico, la catastrofe, il momento in cui la mia vita si è trasformata in una lotta quotidiana contro me stesso.
No, questa personale punizione non va, allora ti ritrovi a scrivere una lettera in cui lo spieghi alle autorità che ora odi ed a tutti quelli che ti conoscono e che ora non sanno se odiarti in cui dici che hai fatto una grandissima mirabolante cazzata e sei pentitissimo anche se in quel momento stavi pensando ai centri di meditazione buddisti in cui ti saresti potuto rifugiare il mercoledì sera ed il venerdì mattina per trasformare questa tua energia negativa e la fottuta gastrite in voglia di vivere e ricongiungerti con l’universo.
E così, cari tutti, ho deciso di scappare. Avendo sempre cura di tenere con me un qualcosa che mi permetta di uccidermi se mi prenderete, perché proprio non ce la faccio a pensarmi rinchiuso in cella.
La mia condanna sarà di essere sempre in fuga.
E così tre anni dopo può capitare che tu conviva con un commando di guerriglieri in un paese povero, con null’altro che un rancio giornaliero, girando per villaggi e cercando di renderti utile insegnando qualcosa ai bambini dei rifugiati, studiando l’attualità e dedicandoti ad un dovuto revisionismo storico, e capendo ancora una volta che non hanno fatto altro che prenderti per il culo, per tutta una vita.

10 Marzo 2005

lunedì, marzo 13, 2006

Il dilemma del credere - riflessioni


E' un sacco che non aggiorno il blog, mo' lo faccio..
Cinque stelle è andato avanti, anche se è un po' arenato. Alcuni dilemmi mi trafiggono, quindi finché non ne risolvo almeno i due terzi resta lì crocifisso a mezz'aria. Tanto non patisce.

Ho scritto un nuovo racconto, lo pubblico appena ritrovo la penna USB. Mi ritrovo sempre avvolto in atmosfere un po' oscure quando scrivo ultimamente, anche se la mia vita di ogni giorno non è impantanata nel lugubre come potrebbe sembrare. Ovvio che non credo in entità superiori nel libero mercato nelle scappatoie dalla realtà nella realtà stessa nell'amore eterno nella vita dopo la morte nella democrazia e ad un sacco di altre favolette..

No dai, non sono così messo male..
Magari credo, diciamo forse un pochino nell'accettazione incondizionata in una birra tra amici nell'amore stupendamente temporaneo in chi non ti impone di credere, nella relatività dei risultati in una tazza di té verde nella morte nell'umana paura di morire nello sguardo puro del mio cane nella primavera che ci porterà via questo freddo e noioso inverno. Crederò per sempre negli occhialoni di mio nonno in chi ha pianto di gioia quando mi sono laureato in chi mi ha ringraziato per averlo ospitato in chi ha accettato i miei ringraziamenti quando mi ha ospitato in chi mi ha detto parole dure ma sincere, forti come un manrovescio in pieno volto.

E scusatemi se non sempre uso le virgole, ma non sempre si pensa con le virgole. Anzi penso spesso con i punti interrogativi, ma non li metto forse per arroganza forse per mascherare la mia insicurezza.

Comunque a giorni metterò su il mio nuovo racconto sempre della serie "Uomini che cercano il senso della vita" (senza trovarlo ovviamente, o rendendosi conto di cosa voglia dire "trovare"). Il titolo è La differenza.

Lascio con una frase che ho letto vicino alla porta del cesso di un pub a Cuneo, non firmata:

Un cane abbaia sue idee, smette quando impongo le mie.