
P- Bene, ho talmente tanto da chiederti che non saprei da dove cominciare.. Partiamo dal semplice: sei soddisfatto della tua vita?
R-Certamente. Mi piace, mi diverto, vivo con delle persone che adoro, e per quanto ogni tanto ci siano dei problemi, di cui molte volte mi sfugge la natura, sono entusiasta della mia vita, sì.
P- Allora cominciamo a spingerci verso le domande scomode: non ti manca la libertà, quella vera, che va oltre il guinzaglio, oltre la legge del bastone e della carota?
R- Questa è bella.. La verità è che non saprei risponderti, non saprei risponderti perché in realtà non so cosa sia questa libertà. Sono un cane, ed i cani hanno sempre vissuto con gli uomini. Faccio parte di una specie, specie la chiamate voi, e non solo anche di una razza creata dall’uomo per alcune sue esigenze, come cacciare, una razza inoltre sfruttata con tutta la malignità di cui l’uomo è capace, anche se con uomo ovviamente non mi riferisco a tutti gli uomini. Se mi chiedi se mi piacerebbe la libertà, ti dico sì, adoro correre libero dal guinzaglio, seguire gli odori, ed adoro quando voi mi lasciate libero di farlo. Ma non so se potrei vivere così. Libertà significa solitudine, almeno per me significa quello, solitudine dall’uomo che, volente o nolente, ha la responsabilità di avere reso il cane il suo migliore amico, e di averlo sfamato, in cambio di lavoro o anche solo di amore. Vivere con l’uomo, anche a scapito di un briciolo di libertà, è il nostro destino, la nostra strada, ed è tempo anche che l’uomo si prenda le sue responsabilità ed usi tutto il rispetto che ci è dovuto, non in quanto cani ma in quanto esseri che come lui vivono sotto il suo stesso cielo e calpestando la sua stessa terra, e non solo, esseri che sono legati a doppio filo con la sua esistenza, dalla notte dei tempi.
P- Ti ringrazio, hai toccato due punti molto importanti, a cui prima o poi sarei voluto arrivare anch’io. Tanto vale anticiparli subito. Per primo, tu sei un beagle, e penso tu sia a conoscenza di tutte le sperimentazioni che vengono effettuate sulla pelle dei beagle, in quanto reputati cani indistruttibili. Il secondo punto, intessuto al primo, è proprio il rispetto scarso che l’uomo ha della natura che lo circonda. Vuoi approfondire questi punti?
R- Sì, e mi aspettavo che me lo chiedessi. In quanto “rappresentante” della natura come la chiamate voi, in quanto cane, in quanto beagle. Innanzitutto non mi piace di quando si parla dell’uomo e del suo rapporto con la natura. Non esiste l’uomo e tutto ciò che è artificiale da una parte, la natura e tutto ciò che viene chiamato naturale dall’altra. L’uomo, che lo voglia o no, è parte della natura stessa. E tutto ciò che da lui viene è pure parte della natura stessa. La contrapposizione uomo-natura viene da una concezione che vede la razza umana al centro di tutto, una posizione antropocentrica direste voi. L’uomo è al centro del creato, e la natura è il contorno, l’insalata, ciò che l’uomo ha a disposizione nella sua folle corsa verso chissà dove e mi dispiace ma in questo momento mi viene da pensare solamente verso la distruzione. Senza capire che distruggere la natura è distruggere sé stesso. Ma sto dicendo ovvietà.
La cosa importante è che, secondo me, questa è una concezione da superare, a mio avviso, in quanto è questa idea malsana che porta l’uomo a fare, fare, fare, sfruttare, senza chiedersi nemmeno per un momento verso dove stia andando. In realtà basta così poco: fermarsi, o rallentare; apprezzare il presente, l’amore, verso i suoi simili, verso i cani, verso gli altri animali, verso tutto il resto. L’amore per una montagna, l’amore verso un cane, l’amore perché no, verso una piccola noiosa mosca. Tanto siamo tutti qui, e tutti alla pari, che dir si voglia, perché tutti viviamo un battito d’ali e poi moriamo. Pensa al tempo, a tutto il tempo che è esistito ed esisterà: ai miliardi di anni passati ed ai miliardi di anni che passeranno: forse c’è differenza tra gli ottant’anni di un uomo, i venti di un beagle, la settimana di vita di una farfalla?
Se l’uomo la smettesse di correre, e cominciasse a correre un po’ in un prato verde giocando con il suo cane, non ci sarebbero deforestazioni di sorta, effetto serra –che mi devi spiegare ancora esattamente come avviene-, e nemmeno sperimentazioni selvagge sui beagle.
P- Mi è piaciuto il tuo discorso, si vede che ci metti passione, e penso che in tanti dovrebbero ascoltarlo. Solo non tutto è semplice come appare. Il tuo discorso porta verso il mito del buon selvaggio, e forse, detto da un uomo, sminuisce un po’ le grandi conquiste della mia specie, e qui non parlo solamente di conquiste materiali, come lo stile di vita che l’uomo è stato in grado di acquisire, le invenzioni partorite nel corso dei millenni, ma anche e soprattutto culturali. Quello che rende la mia specie, e qui non vorrei essere frainteso però, così “evoluta” rispetto alle altre, così in grado di analizzare il mondo che gli sta intorno, di classificarlo, di fare congetture riguardo all’inconoscibile. Cosa ne pensi a proposito?
R- Penso che sia un discorso giusto, fatto da un uomo, ma che non smonti in minima parte il discorso fatto da me riguardo al fatto che l’uomo dovrebbe “rallentare” la sua corsa verso lo sfruttamento. Tu mi parli di conquiste materiali, quando mi pare i due terzi della popolazione umana non li abbia a disposizione. Mi parli di conquiste culturali, ma quanti ne hanno accesso? E non è anche una conquista culturale quella di rendersi conto che non si è al centro del mondo, ma che bisogna fermarsi e lavorare per permettere che tutti abbiano accesso almeno minimamente ad una vita più agevole?
Ma non solo, mi parli di queste grandi conquiste culturali ed intellettuali, ma allora perché l’uomo, tanto evoluto, non ha ancora capito nulla del suo cervello? Perché gli basta così poco per cadere in depressione, o per compiere ogni genere di atrocità? Non ti sembra che abbia lavorato un po’ troppo in una direzione sola, ovvero verso l’esterno, verso la conquista di tutto ciò che ha attorno, tralasciando ciò che è interno, ovvero la sua sensibilità, verso la natura e quindi anche i suoi simili, la comprensione di sé stesso, che poi null’altro è che la sua felicità?
E fai attenzione, non stavo dicendo con il discorso precedente che l’uomo dovrebbe ritornare ad essere nulla più che un buon selvaggio, ma solamente fermarsi, guardarsi attorno, rinunciare a qualcosa, gradatamente, per fare sì che un riequilibrio avvenga piano piano, e senza catastrofi come altrimenti avverrà.
P- Ti ringrazio. Molto interessante la tua analisi. Prima di cambiare argomento, siccome la tua idea del riequilibrio e delle piccole rinunce mi dà un appiglio per affrontare un altro punto importante dell’intervista, ti volevo domandare una piccola cosa: cosa ne pensi degli umani che scelgono il vegetarianismo?
R- Mmmm… dunque, vuoi chiedermi se la loro scelta va nella direzione di cui abbiamo parlato prima?