sabato, luglio 25, 2009

E Anarcobuddisti fu. Finalmente


Ho finalmente finito Gli Anarcobuddisti. Dopo 5 anni, fatiche immemori, blocchi dello sfigascrittore, maquillage vari, cambio di titoli (prima era Cinque Stelle), dubbi sulla trama, sui personaggi e sui cambi di stile. Il mio romanzo/mosaico è finito. Gira tra buddismo, massoneria, anarchismo, sogni lucidi, femminismo e inutilità della vendetta, ma la cosa sconvolgente (per me soprattutto) è che sono riuscito alla fine a tirare giù qualcosa con una trama. Incredibile. Non ha pretese (anche se più scrivo più scopro che mi piace scrivere), non ha ambizioni di essere un gran bel romanzo ma qualcosa, qualche pagina rileggendola mi ha proprio soddisfatto. Saranno le registrazioni fatte sul cellulare mentre guidavo, i pensieri sparsi che hanno trovato una collocazione, le riflessioni a cui sono giunto nel tentare di riallacciarmi al filo logico.
Forse pulp è la definizione giusta, alla fine, ma chi se ne fotte dello scaffale. Per me finirlo era una sfida. Ora mi posso lanciare in qualcosa di nuovo, qualcosa che una trama ce l’ha di brutto, qualcosa che tratti i suicidi e la zeta di Riemann, passando per i guru autoprodotti. E magari per un locale con una porta che dà su di un precipizio e al gatto di Schrodinger.
Nel frattempo Gli Anarcobuddisti rimane lì, completo davanti a me. Se leggete queste righe vuol dire che mi conoscete, quindi se mai vi interessa potete chiedermene una copia pdf e ve la mando.
Con amore ardore e stupore,
jejepà

venerdì, giugno 26, 2009

La ruota della sofferenza


Forse sto avvicinandomi alla fine degli Anarcobuddisti. Prova e riprova non mi aspetto niente, il vero percorso passa solo dallo scrivere. Lancio lì un estratto, particolarmente riflessivo:

T: Avrei voluto, caro Giò, continuare il cammino con te; nessuna rivoluzione, nulla di drammatico, ma una decisa epurazione di quei pochi individui che pensano di tenere il mondo sotto ai loro piedi. Questo per il bene nostro e dei più deboli. Non sarebbe un atto di violenza, ma un atto di compassione. Noi due, assieme, potremmo fare grandi cose. E c’è un altro fattore da considerare, che non mi stancherò mai di ripetere: noi siamo gli unici che possono farlo. E’ brutto da sentire forse, ma necessario. C’è una discreta probabilità che se io e te non ci diamo una mossa questi stronzi prima o poi veramente decidano di decimare l’umanità. Se poi la moltiplichiamo per la probabilità che io e te siamo gli unici che sanno cosa attende la miserevole razza a cui apparteniamo e che non sono complici del piano tremendo, e magari decidiamo di starcene con le mani in mano a guardare, anche ad osservare con attenzione, cosa che tu sembri proporre (probabilità, anzi moltiplicazione anche questa di due fattori di probabilità che si avvicinano pericolosamente a uno e quindi portano il secondo fattore decisamente vicino all’unità), otteniamo la probabilità che in un prossimo futuro (e per prossimo mi sento di parlare dei prossimi cinque o dieci anni) si venga a verificare una reale filtrazione della specie uomo onde conservare in vita solo quegli individui che soddisfano un certo numero di criteri, questi ovviamente definiti da chi sta da lungo tempo congegnando tutto il discorso epurazione. Forse il termine più adatto è macellazione a scopo terapeutico.
Quindi perché non alzarci ed imbracciare le nostre modeste armi, vecchio nonché unico amico, e cercare di creare perlopiù quanti più problemi possibile a chi non ha peraltro esitato a lasciarci putrefare da vivi in delle gabbie ipertecnologiche con dei cavi infilati fin nello sfintere, e monitorandoci anche quando ci lasciavamo andare in una buona e sana masturbazione (ovviamente onirica, perché la sensazione che ho provato toccando per la prima volta realmente il mio glande è stata violenta, ma al tempo stesso morbida, come un ammaraggio su di un’acqua spumosa, mossa e gelida allo stesso tempo. Lo scoprire una valle piena di sole e di verde ma al tempo stesso carica di quel fango fertile e vivo, mamma mia quanto vivo, alle volte basta dirigere lo sguardo un briciolo sotto la superficie.
La compassione di cui sempre mi parli, forse la compassione questa volta è ora di dimostrarla verso chi ne ha realmente bisogno.
Altro che le stronzate buddiste non interventiste di cui comunque, vorrei che te lo tenessi a mente sempre, ci hanno infarcito la mente loro.

G: Separare, separare. Non fai altro che separare, e pure io ho agito come te per gran parte della mia vita. I buoni dai cattivi, noi da loro, la gente comune da noi. La vita dalla morte, la Fratellanza dalle altre sette, i principi morali dai principi etici. Noi siamo lo stesso prodotto e lo stesso principio generatore. La ruota che gira, proprio quella ruota, siamo noi quanto loro. Non si possono separare i raggi dalla ruota e la ruota dai raggi. I raggi stessi non esistono se non come parte della ruota. Facciamo parte della stessa catena alimentare di odio, dobbiamo rendercene conto. Bisogna comprendere che se proprio vogliamo avere la parvenza di tirarcene fuori, dire io non c’entro, non voglio entrarci, dobbiamo in un qualche modo essere l’ingranaggio non funzionante, il sottosistema de sistema che riceve input ma non fornisce output. Ed allo stesso tempo realizzare che continueremo sempre a girare, perché dentro con noi ci sono i nostri fratelli, ed i nostri fratelli siamo noi. I nostri carnefici siamo noi, e quelli che sono state invece le nostre vittime non siamo altro che noi. E’ una questione vitale, una questione di allontanare il punto di vista fino non ad uscire dal meccanismo ma perlomeno a comprenderlo, abbracciarlo in toto, perché forse amare ciò che dovremmo distruggere è il primo modo di violare quella logica che lo tiene in moto, è il primo vero atto rivoluzionario.
Unirci fino a sentire il meccanismo parte integrante delle nostre budella, fino a sentire la sofferenza di tutti gli uomini come la nostra bile, l’intenzione malvagia di esseri contro altri esseri come qualcosa che non dobbiamo sbrigarci a defecare, perché se e come si verranno a creare le condizioni contingenti allora succederà –la defecazione-, e noi saremo lì, parte che defeca e parte defecata, perché la vera compassione abbraccia tutto, senza distinzione, e perché non ci possiamo illudere di separare senza generare odio.


giovedì, aprile 30, 2009

Conversazioni con un suicida


-Non che ci sia tutta questa differenza tra me e te
-E tu che cazzo ne sai di me?
-Quello che vedo ora. So che ci vanno le palle per lasciare tutto
-Le palle? Le palle? Le palle ci sono per continuare, e per sorbirsi tutti i giorni i soliti coglioni che parlano di cose ovvie e ci tirano per il culo tra cose scontate e schifosamente dovute. Dovute capisci? E a te niente!
-dovute a chi dai? Non dire stronzate. Dovute perché ti hanno insegnato che sono così. Fa un freddo cane qua sopra.
-allora vattene
-no perché mi pagano per stare qui e fare il mio lavoro, e stare a parlare con gente come te
-allora mi sa che questa volta lo perdi, il lavoro
-in realtà non me ne frega un cazzo. Di lavori ne ho altri due. Se faccio questo è solo per passione
-bella passione di merda
-la differenza tra me e tutti gli psicologi del cazzo è che io credo veramente in gente come te. Credo solo in gente come te
-ma che cazzo dici?
-io ci credo. Assolutamente. Nei disillusi. Nei fottuti nel cervello. Nei disperati. Siete voi che avreste qualcosa da insegnare agli altri, non sorbirvi i predicozzi, i consigli degli psicologi e gli antidepressivi
-io non ho niente da insegnare capito? Vattene via.
-senti se io sono qui è perché credo in te. Perché penso che tu ora sia in grado di insegnare qualcosa a me, che tu ci creda o no non ti prendo per il culo.
-io voglio solo morire
-prima fammi capire. Fai l’ultimo atto nobile della tua vita. Certo è una scommessa del cazzo per uno come me credere in gente come te, a cui hanno insegnato a competere e non fallire. Tu da solo sei arrivato a capire che è tutta una presa per il culo capisci? Dammi questa piccola possibilità. Sta per mettersi a piovere.
-cosa resta? Cosa resta, se escludi quello che ti hanno insegnato a credere? Se escludi la grande presa per il culo? O ti adegui, o finisci a fare il barbone, e scusami io non ci sono portato. Preferisco morire.
-in realtà ci sono molte più possibilità di quello che credi per i disillusi falliti senza un cazzo come te. Tipo spostare l’attenzione non solo più su di te. E ci potresti pure vivere. Certo è più facile imbottirsi di xanax e dirigersi verso questo minchia di cornicione per farla finita
-risparmia i discorsi del cazzo sull’altruismo e sulle droghe e su tutti i vostri fottuti moralismi
-io mi riferisco solo alle situazioni che ti permettono di imparare qualcosa. Finire a pulire il culo ai vecchi ecco, quella è una situazione che ti permette di imparare qualcosa. Questo è come la vedo io
-a lavarti bene le mani, sicuramente.. [ride]
-[ride]
-…
-sei simpatico. Simpatico come spostato. Se avessimo più tempo potremmo andare a berci una birra insieme
-non sono ricchione
-ahah ma che dici
-e lo faresti per pietà. O non lo faresti
-questo perché non credi a niente di quello che ti ho detto fino a adesso. Che io imparo da gente come te
-in effetti non ci credo. Ma se mi dici che impari a pulire il culo ai vecchi capisco che ci stai dentro meno di me
-a proposito tu bevi?
-bevo? Alcool
-no bevi acqua. O per sopravvivere non fai uso di alimenti liquidi
-ma che sei scemo
-va beh che ti stai per suicidare, ma non è che devi perdere del tutto il senso dell’umorismo
-non l’ho mai avuto
-cazzate. Prima mi hai fatto ridere
-certo hai le mani che puzzano di merda..
-[ride] ti va una birra?
-ma che c… veramente sei venuto qui con una lattina di birra in tasca? Per cosa, per comprarmi?
-no, più per me. Se no ne avrei portate due. Se va bene ti porto giù e andiamo assieme a bere, prima che ti affidino a qualche psicologo della mutua. Se no ti guardo spiaccicarti stappandomi una lattina
-e non te ne fregherebbe un cazzo? [a bassa voce, voltandosi] ma che cazzo di domande faccio, è ovvio che …
-se devo essere completamente sincero, rimpiangerei l’occasione persa di non avere conosciuto una persona potenzialmente interessante, per lo meno per commentare nei pub gli sguardi accesi dei cazzoni di turno davanti alle partite
-ma che cazzo ne sai di me! Come fai a dire che sono interessante! Piantala con le ricchionerie finte
-parli troppo di sta faccenda dei ricchioni. Magari il ricchione sei tu. Ti piace nel culo vero?
-vaffanculo..
-che c’è di male. Ho un sacco di amici ricchioni. E sono di sicuro più rispettosi di tutti i fottuti animali da branco calciotelemacchinadipendenti che ci sono in giro. Che adorano e temono la vagina in maniera ossessiva, vittime di complessi irrisolti verso le loro madri e che per me si possono tenere vita natural durante. I complessi con le loro madri, intendo. Gente che io so che tu odi come me, vero?
-vaffanculo. Io non conosco ricchioni e non ho amici. Ho dedicato trentatre anni della mia vita allo studio e al lavoro per vedere tutto fottuto in una settimana. Non che ci credessi, ma mi difendevo. Invece niente ha senso
-è la prima cosa sensata che ti sento dire, questa. Bravo, ci sei arrivato. Quindi quando hai finito di piangerti addosso mi dici se ti va un sorso [stappa la birra e inizia a bere]
-…
-allora? Io sono qui. E non me ne vado.
-me ne vado io..
[pausa]
-va beh dammi un sorso
-bene.. tieni .. [inciampa] cazzo!!
-occhio! Poi sono io quello che dovrebbe morire tra i due
-vaffanculo. A momenti ci andavo io
-non male.. [beve] .. fresca
-te ne racconto una
-glubf
-un mese fa mi hanno mandato a prendere una che si voleva buttare giù dal ponte CLJ. Una tipa bionda sui quaranta in tailleur, tradita dal marito.
-eh..
-arrivo là e questa qua piangeva come una fontana
-io mi avvicino con il mio approccio, con l’idea anche stavolta imparo qualcosa, e inizio a parlarle
-beh? Sveglia, non ho troppo tempo… sai com’è devo morire
[ridono]
-no senti, appena attacco discorso questa inizia a piangere a dirotto e a raccontarmi tutti i suoi litigi col marito e cazzi e mazzi di cui a me, in sincera onestà, me ne fotteva poco
-te l’ho quasi finita. Scusa [ride]
-va beh.. in quel momento realizzo una cosa. Se devo far bene il mio lavoro, e portare la tipa giù, devo starla ad ascoltare, perché è quello che vuole, cercare di comprenderla e sorbirmela, e replicare con le solite tiritere hai ancora tanto da dare, di sicuro troverai qualcuno che può starci vicino, proviamo a capire insieme cosa potrai fare una volta che avrai tolto tuo marito dalla tua vita
-di sicuro te la volevi fare eh?
-no, ma dai. Sesso pari a zero. No, però ho dovuto farlo, ho dovuto dire una vasta serie di minchiate scontate per tirarla giù di là, e ce l’ho fatta. Sembrava recitassi il libro cuore
-bravo, vuoi gli applausi?
-no tu scherzi, in confronto con uno come te almeno capisco. Capisco perché sei andato oltre le cazzate scontate, e cosa hai trovato
-ho trovato il nulla. Il nero
-no la depressione è una brutta bestia, ma venire qui le dà comunque una bella scossa. In un qualche modo ti sei deciso a tagliare il velo nero che ti era caduto addosso
-sì, morendo, bel modo di tagliare. L’unico per me
-ascolta. Passato, depressione. Presente, cornicione futuro..
-coglione
-no, andiamo a farci la maledetta birra che mi hai appena scolato. A te una in più non fa male, visto come sei messo di merda. Io poi, ne ho bisogno. Ho una sete fottuta. E ho pure voglia di pisciare.
-hah.. sei lo psicologo più cazzone che mi poteva capitare.
-forse l’unico che può capire un minchione come te.. ti dispiace? [si alza e si tira giù la zip]
-che cazzo fai? Girati almeno, ricchione.
-ancora con sta storia del ricchione. Lasciami pisciare in pace. Mi piace pisciare dai cornicioni. Immaginare i fichetti che ci credono, con l’auricolare mentre gesticolano da soli in mezzo a Brighton Street e intanto si beccano la mia urina fetida sui capelli ingellati. Potrei stare pisciando su uno come te..
-[ride]
-prima che tu facessi un vero atto di coraggio, cioè venire quassù. Di qui nessuno ti può pisciare in testa, tanto meno da centocinquanta metri
-sai che ti dico? Scappa anche a me. E se mi gira dopo la piscia mi butto pure io. Anche se a questo punto piscerò solo sui pompieri là sotto. Ci sono solo sbirri e pompieri.
-allora spostati un po’ più in là. La, sotto, di là [indica].. ci sono delle persone.
[pausa pisciata]
-Allora, sta birra?
-sei un fottuto stronzo. Andiamo.
-se poi vuoi ancora suicidarti, ho studiato parecchio a riguardo. Ti so dire un paio di cocktail di farmaci che non ti fanno sentire neanche un dolore. Da morire col sorriso, senza coglioni come me che ti vengono a rompere.
[risate]

giovedì, marzo 06, 2008

Camminare - "Da gli anarcobuddisti capitolo 25"


La prima cosa che ho fatto appena ho potuto camminare è stata andare in un campo. Niente di che, quel campo davanti alla finestra. Avevo il fiatone dopo aver zoppicato per un centinaio di metri. Solo tra l'erba e la rugiada, io nemmeno capace di tenermi in piedi per più di un minuto di fila, sporco e pallido. Durante la mia prima gita. La prima che ricordi. La lunga gita nel prato là davanti. Mi sono seduto, bagnato e col freddo che mi divorava le ossa. Ridevo. Ridevo della mia solitudine e della mia situazione. Del fatto che io, abituato a combattere infinite battaglie con l'immaginazione, infinite sfide con l'anima della gente, ora mi impegnavo per riuscire a non macchiarmi di escrementi. In quel momento non riuscivo a smettere di ridere, mentre il sole del mattino tardava a spuntare dietro le colline troppo lontane.

Poi sono tornato nella casa e ho scritto questo:

Meditazione sulle Quattro Nobili Verità.

La Prima Nobile Verità è la verità del dolore. Tutto è dolore, la nascita è dolore, la vita è dolore, la sofferenza è dolore, la morte è dolore. Lacrime amare. Sangue. Un arto amputato. La disfatta di un grande sogno. L'umanità intera liberata dagli oppressori. Gli oppressori che usano l'umanità stessa contro di sé per decidere chi può e chi non deve sopravvivere. Il crepuscolo dell'ultimo giorno. La gioia di vedere nascere un gattino in un fienile, mentre fuori nevica. La parabola inevitabile di ogni cosa. Il secondo principio della termodinamica. L'impossibilità di guardare oltre i propri orizzonti. Il cinguettio sul mio davanzale. I pantaloni inzuppati. Laddove c'è vita, c'è impermanenza, e c'è dolore.

La Seconda Nobile Verità è la verità dell'origine del dolore. Laddove c'è brama di un'ulteriore esistenza, la c'è dolore. La perpetrazione di ogni cosa in natura. La ciclicità. La sorgente e la foce. Le balene che si arenano, su spiagge lontane dove la sabbia è così fine. Il desiderio che tutta questa gioia non possa finire mai. Il caffè espresso che si esaurisce in due sorsi, e non è giusto. Il desiderio di copulare. Il desiderio di vedere nei figli un riflesso di noi stessi. L'arroganza dei potenti nello sconfiggere la morte. L'arroganza e basta. Ogni gerarchia. Ogni senso di superiorità. Ogni divisione. Ogni classificazione. Ogni amore selettivo. L'amore non è selettivo, ma onnipervadente.

La Terza Nobile Verità è la verità della cessazione del Dolore. La cessazione della brama di un'ulteriore esistenza porta alla cessazione del dolore. E l'albero si assopisce nella pioggia autunnale mentre la nonna prepara la pasta fatta in casa, su un legno che è vecchio, ma vecchio da avere già dei profondi solchi laddove mani abili lo hanno premuto per decenni nel sacro gesto di impastare.

La Quarta Nobile Verità è la verità del Sentiero che conduce alla cessazione del dolore. Retta azione, retta intenzione, retta visione, retta parola, retto sforzo, retta concentrazione, retti mezzi di sostentamento, retta presenza mentale, retta rivoluzione, retta manipolazione, retto sguardo verso le scarpe bucate che ti avvolgono i piedi, retta postura mentre le gambe non ti reggono, ma il sorriso sì. Retta fusione con tutto ciò che ti circonda, perché non sei proprio niente, mentre hai addosso due stracci e sei solo in mezzo a un campo non coltivato, l'erba talmente verde e talmente fredda che pare volerti ingoiare, mentre non pensi ad altro che al fatto che tu vuoi vivere, sì vuoi vivere nient'altro, ma la vita non ha senso se non ti accorgi che il freddo che ti sta uccidendo in realtà sei tu, e tu sei la distruzione e la generazione dei cicli della natura, e tu sei anche il secondo principio della termodinamica che non lascia scampo ad ogni perfetta conservazione del moto, ed anche dell'esistenza. Tu sei lo stato di massimo disordine, ed anche quel gatto massacrato nella notte dalle volpi, perché era ancora troppo piccolo per andare in giro. Tu sei la ruota della massima sofferenza e della massima gratitudine, tu sei i molteplici universi possibili e la cataratta che ti colpirà da vecchio. Tu sei la mattina ed il pomeriggio, ed anche gli anelli di Saturno. E mentre ridi a perdifiato senza volerlo nemmeno, ti ritrovi a conoscere del mondo più di quanto hai conosciuto in decine d'anni di sogni assurdi.

venerdì, dicembre 07, 2007

Il cubo - (da gli anarcobuddisti, appendice 2)



Jona sta lavorando sul portatile in camera.

Sono seduto sul divano. Solo. Ho sonno. Non ho voglia di fare nulla, questa nuova vita di meditazione ed autodisciplina, nonché di astinenza sessuale mi stanca più della precedente. Non so quanto durerò.

Mi addormento di botto.

Devo andare alla stazione con una Golf blu scura, modello vecchio prestatami da mia zia. Lei mi aspetta là, dove io le restituirò la macchina e prenderò il treno per andare a trovare mia madre. Dovrebbe esserci anche un mio amico che mi aspetta alla stazione, Enzo.

Trovo parcheggio vicino all’entrata, saranno un centinaio di metri. Che culo, il parcheggio lì è pure gratuito.

Lascio la macchina ed entro in stazione, dove mia zia mi aspetta con Enzo. Le do le chiavi. Il treno è alle 17:18, ho ancora tempo. Esco e la accompagno alla macchina. Ma la macchina non c’è più. L’hanno rubata in 15 minuti.

Come è possibile? Forse ricordo male dove l’ho parcheggiata. Giriamo un po’, Claudia è nel panico. Io pure. La macchina era lì, e ora non c’è più. Dovrò ripagargliela. Sono disperato, mi viene da piangere, la zia sta già piangendo. Enzo mi aiuta a cercare la macchina, ma era lì, ed ora non lo è più.

Mi impegnerò a ripagargliela. Questo è un grosso, grossissimo casino. Non mi è mai capitata una sfiga del genere. Non ci vedo nemmeno bene. Inizio a girare per la città, sono vicino al quartiere più malfamato, ma non ho paura. Figuriamoci, io sono l’ultimo degli ultimi.

La strada è sterrata, le case diroccate. Non pensavo esistessero strade non asfaltate in questa cazzo di città. Le case qui sono proprio baracche, davanti a me c’è una fabbrica abbandonata. Poca gente in giro, quasi nessuno.

D’improvviso una macchina scassata blu, non so nemmeno identificarne il modello, mi passa accanto ad una velocità folle per quel posto. Derapa in una curva a sinistra poco avanti a me, e si arresta di botto in uno spiazzo terroso. Mi viene in mente che sia inseguita.

Scende un tizio di corsa, brizzolato e grassottello sulla cinquantina, con una scatola di cartone in mano. Corre come se avesse il diavolo alle calcagna, nella mia cazzo di direzione. Mi passa accanto con la scatola, e la passa ad un tizio che si è materializzato tre metri alla mia sinistra, forse uscito da un vicolo lì vicino. E’ anche lui di mezza età, è alto e con gli occhiali scuri. Sono esterrefatto dalla scena bizzarra, non penso nemmeno più al furto di prima. Potrei trovarmi in mezzo ad un casino, ma non ho paura in quel momento. E’ una scena da film.

Quando il buddha brizzolato incontra l’altro tipo, quello con gli occhiali scuri, si ferma di botto e gli consegna la scatola, ma è aperta e qualcosa cade e rotola nella mia direzione. Ovvio che potrei farmi i cazzi miei, ma non ci sono portato. Mi avvicino all’oggetto. Che è? Metto a fuoco.

Un cazzutissimo cubo di Rubik. Perché cazzo c’è un cubo di Rubik per terra davanti a me? Basta, lo raccolgo. In un attimo ce l’ho in mano. E’ risolto. Guardo la faccia tutta gialla del cubo che ho in mano.

Il cicciottello intanto viene verso di me, che ho in cubo in mano. Si ferma a circa un metro e mezzo avanti a me. Guardo lui. Guardo il cubo. Guardo lui.

E capisco.